giovedì 22 settembre 2011

X (maggio '11)

La nausea prevale sulla fretta, il paragrafo resta interrotto, spezzato, ucciso. Il caldo soffocante lo squaglia, poi lo coagula. Resto a fissarlo, completamente ebete. Vado a comprarmi una schifezza alle macchinette. Inutile. Merda. Il posto è una merda, sono nella merda fino al collo. Esco, nient’altro da fare.
Fuori dalla biblioteca il sole secca la nausea, mi appendo al vento come un gabbiano, cammino veloce. Il tempo di riavermi e mi abborda una sui sedici anni; le noto tra le braccia, come un cazzo di bambino, il giornale della lotta comunista. Lei stride: primo maggio, guerra in Libia, contro! telegraficamente. Alzo al cielo una bestemmia, come una bandiera, come una lancia, in resta! la uso per trapassare la sventurata (che non risponde). Me la svigno, protetto dall’impunità del mio passo frettoloso di passante puntuale. Un passante qualunque.
Dei coglioni in giro con quegli stronzi dei loro cani al guinzaglio, che fanno un baccano micidiale. Coglionaggine onnipervasiva: la coglionaggine che tutto domina e impregna emerge come isola dalla pozzanghera nera della mia emicrania, battuta dal sole primaverile nelle vie argentate della città, insopportabili. Appare una giovane dall'espressione completamente animale e si siede, un tipo la accosta e le offre un bicchierino fumante preso al bar e cominciano con voci di roditori a ripassare le guerre sannitiche: mentre il tipo si gratta i coglioni nella maniera più sfacciata e la donna-sorcio ne ridacchia; un tale dall'aria normale si avvicina a una manifesto sbiadito degli 883 e ci scrive o disegna qualcosa con dei pennelli per le mani -così pare, non riesco a vedere- e si allontana facendo come dei piccoli minuscoli segni della croce verso la sua opera; e poi mi viene incontro un paio di mocassini con infilati dentro i piedi di un cretino, che ha perlomeno la buona idea di scostarsi e lasciarmi passare; il tutto in una manciata di secondi. Menate su menate. Traffico medio da pomeriggio in centro. Mentre attraverso la grande piazza il vento mi dà l’impressione di aiutarmi: vento in poppa: ma arriva più di lato. Da davanti e di lato. Però sorprendentemente l’impressione è quella di un vascello, vento in poppa. Poi cambia direzione. Mi si struscia sui pantaloni ma senza fare fusa. Anzi sembra un cane che fa le feste; troppe; dopo un po’ rompe i coglioni.

venerdì 16 settembre 2011

La strada tranquilla (fine di giugno, 2011)

La strada è tranquilla
Disseminata di dossi
Non sopporta autotreni, non vive tensioni
Ed ha spento i lampioni, di giorno è di polvere, di notte rugiada
Grilli, lucciole, l’erba che cresce. La strada è tranquilla e di giorno la polvere
Di notte il silenzio
Ti impastano i piedi e non vuoi camminare
Non puoi camminare, per la strada tranquilla
Senza fermare
Il pensiero o la voce
A seguire la luce o la mente
dell'arte sottile della memoria.

martedì 13 settembre 2011

P. prende per la prima volta in vita sua la corriera, e fa uno strano incontro

[...]

Nel caldo appiccicoso di una mattina, qualche giorno dopo, Peone si ritrovò così a salpare da solo verso la città a bordo di una fetida corriera. Non l’aveva mai presa prima ed era dubbioso, chiese all’autista se effettivamente la corriera portava a T*****. – Si, va bene – disse quello, fissando assorto la strada, mostrando molto zelo nel suo mestiere. L’autista aveva una barba molto curata, e l’aria di essere un ragazzo davvero serio e dabbene, tanto che fece su Peone un certo effetto e lo convinse a non disturbare più una figura così importante: anche se, francamente, si sarebbe aspettato una risposta più cordiale.
– Sarà l’uso della città– si disse il Nostro. L’autobus pesantissimo partì con una certa fatica, iniziò a solcare il mare di campagna, i campi e le rimesse come onde. Ogni tanto si fermava nel bel mezzo di qualche minuscola borgata, per caricare viaggiatori e farne scendere altri. Dopo un’ora di viaggio il paesaggio iniziò a cambiare, la strada si ingrossò, apparvero più camion e automobili, a scapito dei carretti e dei viaggiatori a piedi o in bicicletta. Fu con una certa meraviglia che Peone avvistò, lontani, i gabbiani di una discarica, e fu colpito da un odore che faceva sembrare quello del letame il migliore dei profumi. Ma accadde un fatto ancora più stupefacente; in uno di quei paesi che segnano il confine della città, quelle terre dubbie dove le villette a schiera e gli orti abusivi si mischiano a quello che resta dei campi, dei canali e dei terreni incolti, salì un passeggero che attrasse immediatamente, con la sua sola presenza, tutta l’attenzione di Peone. Era una ragazza di venticinque anni, bionda e alta quanto il nostro eroe, se non di più. Aveva ‘aria di essere straniera. Indossava esclusivamente dei cortissimi pantaloncini, e una maglietta: entrambi i capi di abbigliamento erano di un viola robusto; portava inoltre una gigantesca borsa dalla quale spuntava la parte superiore di uno scatolone col simbolo della nota marca di detersivi D**** - Peone ci mise un po’, realizzare questo, perché a leggere non era mai stato tanto bravo; e inoltre concorrevano a distrarlo le braccia e le gambe nude, e i capelli della bella. La donna parlava al cellulare,e Peone si permise di origliare la conversazione di un personaggio di tale spessore. Purtroppo la discussione si svolgeva in una lingua completamente incomprensibile, e la ragazza non faceva altro che rispondere:
- Da.
- ...
- Da.
- ...
- Da-aaa...
L’ultimo “Da” usci strascicato assieme a una bolla di cingomma che la fanciulla stava, nascostamente, masticando: Peone ne fu talmente esterrefatto che sussultò, attraendo su di se l’attenzione. Un grosso uomo coi baffi ridacchiò, la ragazza decisamente sembrava indifferente, l’autista fissava la strada e si lisciava la barba; gli altri astanti continuarono tranquillamente a non esistere.