lunedì 27 settembre 2010

Lapide di un figlio degenere

Guardavo mio padre mangiare;
Le guance già flosce, lo sguardo abbassato
La barba rada (neve sporca in un giorno di pioggia)
Gli abiti luridi che indossava in casa;
E poi i rumori:
Il risucchio, lo schiocco
Inframmezzavano le parole
A ogni boccone
Spalancava la bocca e inspirava
pesantemente
Mostrando la lingua.
Mangiava del riso, la torta salata, una pesca
A morsi voraci, nel mentre sparlava
Del lavoro e di tutto e di tutti..
Poi usciva di casa: indossava cravatta e sorriso
E una zaffata di deodorante
Accecante: quello che accade
Quando un contadino si vuole borghese.

Mi trasferii in quei giorni in una grande città
Ballai nuovi ritmi
E persi quello dei sentieri, delle strade di campagna
E lessi troppo, bevvi troppo
E queste sono le ragioni per cui sono qui
Dove ora
Dormo rinchiuso.

Mi sono sentito solo, mostruosamente solo.
Non distogliete lo sguardo
Quando passate di qui.

giovedì 23 settembre 2010

Verso mezzanotte (settembre 2010)

Verso mezzanotte
Il vino mi guarda
Mentre sembra dormire
Nella sua bottiglia

Verso mezzanotte
I più stanchi degli uomini
Scendono in strada col cane

Verso mezzanotte
Una prostituta ti sorriderà
Dolcemente, al semaforo

Verso mezzanotte
Ragazze dai tacchi alti
Vanno a dormire, in tram

Verso mezzanotte
Un vecchio malconcio, chitarra in spalla
In un viale oscuro...

È verso mezzanotte
Che riesco a leggere gli spartiti dei grilli

Ed è verso mezzanotte che si affilano le lame
per combattere l’Incubo
con la segreta speranza di atterrare invece nel Sogno

E poi è verso mezzanotte
Che ho deciso di dimenticarti
E non a caso...

Verso mezzanotte
Questa volta
Farò ritorno a casa.

lunedì 20 settembre 2010

Un cane (marzo 2009)

Un cane
È una cosa terrena, sincera
Lo insulti e sorride, ti morde le mani
Fa festa, rumore
Balla e canta
sgraziato com’è,
ma i suoi occhi lasciano vedere
un amore che solo lui sa, una fede di legno
che cresce e cresce
nella terra del suo cuore;
e ogni tanto diventa
ululato alla luna, ricordo;
ma lui già tuffa le zampe
nel bacile dell’acqua
e dimentica tutto.

Un ubriaco (settembre 2010)

Sono rientrato che era ancora buio
E sono rimasto sveglio, non so perché
A centellinare quel che rimaneva di una bottiglia di vino rosso.
Ero in cucina e la bottiglia sul tavolo divideva a metà la stanza, due metà precise, come in quel quadro di Cézanne
(alcuni forse lo conoscono)
Quel quadro coi due tizi che giocano a carte, i cappelli sulla fronte
E una bottigliaccia nera che li divide:
e divide in due tutto il quadro, ed è la bottiglia a dare un significato al quadro;
Pensavo così, e a un certo punto
Mi sono alzato per andare a letto
Mi sono appoggiato al lavandino
Ci ho sputato dentro.
-E bella forza!
Dite voi
-Bella roba stare là
In un bar
a perdere coscienza un po’ per volta!
E poi tornare a casa e manco avere l’educazione
Il tatto
La classe
Di sputare nel cesso.
No.
Nel lavandino.
Che schifo.
E io non so bene cosa rispondervi.
È che il vino, pur comportando tutta una vasta serie di spiacevolezze,
Mi permette di fuggire e allontanarmi di problemi: che sono tanti,
ma è un fuggire velocissimo e irraggiungibile, di breve durata ma incredibilmente efficace, anche contro gli inseguitori più tenaci.
Io sfido
Io sfido i parenti serpenti
Le maschere dei politicanti
E le loro cravatte, e le cravatte di chiunque
E il calcio in tutte le declinazioni possibili
E i musei e i semafori e i taxi e i tram e la folla di un pomeriggio di mercoledì di tarda estate coi suoi fidi gelati e cani d’appartamento e i bonsai e i vegetariani e gli ecologisti che lottano per le foreste -senza mai averla vista nemmeno da lontano,una foresta- e le vetrine alla moda e l’indie e tutti gli altri fessi e le discoteche e gli happy hour e una bella dose di cantanti e per finire probabilmente anche te, che mi stai a guardare sospettoso
Io sfido tutti quanti
A raggiungere e turbare la pace di un ubriaco
Salpato a bordo del suo letto
in un vorticante oceano di buio, velato di nausea.

Col frastuono (Maggio 2010)

La strada è una tale ressa di
Scolaresche in disarmo;
simoniaci;
bugiardi;
ragazzini che si credono teppisti;
suore barboni vecchie comunisti
–ma di quelli convinti;
carogne di piccioni;
coglioni, avvocati;
signori elegantissimi e affilati
che mangiano gelati;
sbirri in borghese;
artisti di strada feroci;
cani;
ladri, zingari, falsari, indolenti, ubriaconi;
violenti, drogati, letterati appassionati;
ipocriti –ma tanti;
alpini, cantanti;
semafori, badanti;
Giuristi, spazzini e cavadenti;
Che per attraversarla, col frastuono nelle orecchie,
serve un pochino di coraggio.

Un Concerto (14-6-09)

Il clarinetto, incantatore di serpenti,
Saltella ansiogeno e argentino
Canta acuto e solo, d’ebano.
Il contrabbasso voce tiepida
nera di terra, di dita sulle corde
di attimi pizzicati.
Il batterista è una statua muta, e un’intera orchestra
Le braccia lasciano i piatti a dondolare
Coprono di suono e di ritmo le pelli.
La chitarra balla ed è un’ombra
Veloce, che passa, di legno e d’aria
E non tace, non tace e continua a ballare.

E la luna e la piazza sono incantate, io penso lontano
Passano due cappelli nell’ombra dietro a un muro,
è mezzanotte.