domenica 24 luglio 2011

Il peruviano

Il Peruviano era pressoché sempre ubriaco. Un giorno accolse in modo indimenticabile l’inquilino del piano di sotto: lo aspettò nascosto dietro al portone, e quando quello iniziò ad aprire per mettere dentro la macchina il Peruviano saltò fuori urlando insulti nella sua lingua, lanciandogli contro chissà che immondizia. L’inquilino si incazzò, lo minacciò di botte, poi lo chiuse fuori, e quell’altro girò per una mezz’ora sui marciapiedi, formulando vaghe invettive contro i perfetti sconosciuti che incontrava. Lo riportammo dentro senza troppa fatica anche perché, a parte qualche scatto di furore, quand’era ubriaco sembrava dormisse in piedi, borbottando Mierda e simili cose. Oltre a ubriacarsi, dormiva. Un lavoro, mai. Mangiava poco. Era basso, abbastanza tozzo. Il più lo spendeva in tequila, ed era fastidioso quando cercava di rubare. Agli insulti ci eravamo abituati, ce ne fregava un cazzo. Credo rubasse soldi in giro, da qualche parte doveva pur prenderli. A noi cercava solo di rubare la birra, e, più di rado, del cibo. Non so, non sapevamo, quale fortuita circostanza del mondo lo avesse prelevato dalla sua terra natia e deposto in un alloggio di due stanze in un quartieraccio della nostra decente città. Non parlava la nostra lingua, se non per lo stretto indispensabile. Nei suoi occhi si leggeva il vuoto, un desiderio animalesco e completamente indefinito, ormai addormentato e forse dimenticato. Come se un tempo, milioni di anni fa, avesse desiderato con tutto il cuore qualcosa di impossibile. Sepolto sotto epoche di sbronze, di polvere e di niente si poteva ancora intravedere il suo sogno, come le rovine di un villaggio oltre l’acqua di un mare limpido, come la terra nera di un bosco sotto un autunno di foglie secche. Dimenticato e irrecuperabile, funzionava solo quel tanto che bastava a farlo alzare ogni mattina, ma una volta in piedi lo lasciava da solo in compagnia del difficilissimo compito di non cadere nel vuoto fino al suo prossimo incontro con il letto.

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