Il soggetto in questione era, all’età di quattordici anni, un autentico coagulo di bruttezza e cattiveria. Era un botolo egoista e disperatamente privo di amici. Ma “il ragazzo cresce solo e non si sente solo mai”, e la cosa non gli dava dolore, minimamente. Almeno, questo credeva lui. E quando il cuore, tuttavia, gli soffocava sotto un peso apparentemente insostenibile, in quei momenti lui semplicemente se ne andava a vagabondare da qualche parte. Spesso nella campagna vuota, a consumare un po’ di crudeltà contro un qualche albero o una bestia sfortunata. Altre volte si spingeva fino alla città più vicina. Non aveva soldi,e quindi non è che ci potesse fare granché, ma l’odore sfolgorante e caotico della città garantiva comunque maggiore varietà, maggiore attrattiva rispetto al niente desolato delle stradine fangose e dei fossi e dei campi a perdita d’occhio, “a perdita d’animo”. Eppure la città era lontana, per arrivarci bisognava affrontare il treno e i suoi controllori: questo spiega la rarità delle spedizioni urbane del soggetto in questione.
Il soggetto in questione era la disperazione degli insegnanti, per ovvie e numerose ragioni: si trattava di un ragazzo indisciplinato, caotico, violento, volgare, e tuttavia mai passivo o stupido; non si fece mai segare, in altri termini. Pareva non aprisse libro, ma ogni anno, agli esami finali, si salvava per il rotto della cuffia, con sangue freddo esemplare. Non solo non studiava, si rifiutava anche di leggere, anche i romanzi d’avventura coi quali il professore di letteratura, Q, tentava di accattivarselo. Disprezzava caparbiamente qualunque forma di cultura tentassero di propinargli: detestava la carta. Faceva scherzi grevi, dolorosi… ma non erano nemmeno scherzi, non facevano ridere nessuno, neanche lui. Al di là di tutto questo, il suo difetto peggiore restava l’incomunicabilità, la muta ostinazione a non lasciar trasparire nulla di sé e nel non voler capire nulla degli altri – era così sia con i compagni che con i maestri. La famiglia era perlopiù assente o irreperibile – nemmeno il professor Q, quello più interessato, più attento ai ragazzi, arrivò a farsi un’idea precisa di cosa facessero e dove fossero i genitori. D’altronde il ragazzino non aiutava, era un muro impenetrabile… proprio quando paradossalmente avrebbe dovuto essere lui il tramite principale: gli unici contatti si limitavano a qualche dichiarazione firmata, a qualche telefonata secca e scheletrita in un deserto di silenzi. A occuparsi di queste cose era soprattutto il padre – si diceva fosse alcolizzato – mentre la madre era davvero invisibile. Ma d’altronde il corpo docente e il preside se ne fregavano (a pieno diritto e col massimo decoro, nella loro ottica), e il professor Q era quotidianamente alle prese con dozzine di altri ragazzi altrettanto problematici. Di conseguenza i mesi erano autorizzati a scorrere senza che cambiasse assolutamente nulla – almeno fino a quando il soggetto in questione non avesse raggiunto il tremine dell’istruzione obbligatoria, che l’ammirevole legge del lucente imperatore Stanislao II aveva portato a sedici anni: mancava ancora abbastanza tempo da potersene infischiare.
Com’era, il soggetto in questione? Altezza media, massiccio di fisico, un volto inespressivo, imberbe. Una di quelle facce da ladro che, se non vogliono, non ti dicono nulla; e fanno una fatica maledetta a rimanere impresse. Lo sguardo cupo e bovino non lasciava trasparire nulla se non una specie di rognoso malanimo. Si lavava poco, si vestiva in modo casuale, anonimo: non propriamente sciatto ma, apparentemente, senza la minima attenzione. Disprezzava con indifferenza sorda la cura che normalmente, a quell’età, si inizia a dedicare all’aspetto fisico. Queste cose ovviamente lo rendevano ben poco popolare presso i coetanei, il che non gli era di gran peso, vista la propensione alla solitudine e il fatto che la scuola rappresentava una parentesi relativamente breve nelle sue giornate. Ben pochi compagni, poi, si sarebbero permessi di attaccarlo direttamente: aveva un aspetto tutto sommato minaccioso. Gli sfottò, il clima di presa per il culo parevano scorrergli addosso come acqua fresca, non suscitavano in lui la minima reazione visibile.
Alla seconda parte: http://versomezzanotte.blogspot.com/2012/03/il-soggetto-2.html
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