domenica 8 aprile 2012

Racconto freddo 2

All'1: http://versomezzanotte.blogspot.it/2012/04/racconto-freddo-1.html

L’impiegato era intento con la massima cura nell’attività di levarsi un callo con il temperino. L’azione gli richiedeva una postura innaturale, il gomito destro proteso in avanti metteva in evidenza un buco grande circa quanto una lenticchia nella manica del suo soprabito di lana nera; attraverso il buco spiccava il rosso acceso della sua livrea d’ordinanza, lurida e consunta. A un certo punto l’impiegato si riscosse, mi fisso e disse: Aspetta. Poi tacque, si alzò e sparì nella penombra dietro lo sportello. Nei locali faceva freddo, era comprensibile che l’impiegato portasse un soprabito nero sopra all’uniforme; fece ritorno e chiese: che problema c’è. Chiese da quanto vivevo in quella città. Poi mi chiese le mie carte. Ragionò un po’. Chiese di nuovo se era da molto che vivevo in quella città. Poi si mise a leggere attentamente le carte e fece una faccia corrucciata. Mi chiese di tirare fuori il passaporto, frugai controvoglia nelle tasche dei pantaloni e glie lo passai nella fessura sotto il vetro. Sul bancone rimase qualche minuscola fibra di tabacco e una minuscola cartaccia, roba che si annidava nelle mie tasche, e lui la respinse sdegnoso verso di me come se potesse interessarmi riprendermela. Non feci in tempo a levare di mezzo quelle schifezzuole che il tizio riprese a parlare. Diceva: Non sei allo sportello giusto, devi rimetterti in coda. Lo sportello avrebbe chiuso dopo tre quarti d’ora, se avessi dovuto rifare la coda mi sarebbe di sicuro toccato tornare l’indomani e perdere un’altra mattinata, cercai di spiegare. Lui si incupì, sembrò incazzarsi e disse: Vai qui di lato. Io raggiunsi lo sportello accanto con tutte le mie cartacce in mano, nel timore di passare davanti a qualcuno che magari era in coda dall’altra parte. Non successe. Allo sportello di lato c’era un impiegato di mezz’età, pelato, con una vecchia felpa grigia di tessuto sintetico al posto dell’uniforme. Aveva l’aria di essere più esperto dell’altro, ed era talmente strabico che era imbarazzante tentare di guardarlo negli occhi. Mi chiese da capo chi ero, cosa volevo, se era da tanto che vivevo in quella città, se avevo il passaporto. Non mi guardò mai in faccia – anche se in realtà era difficile capire di preciso dove guardasse. Alla fine sparì anche lui, cominciai a preoccuparmi, ma dopo una decina di minuti tornò e mi fece firmare delle cose e poi tutto fu finito, a posto: disse: Può andare.
Uscii con un sospiro di sollievo. La strada tutta era coperta di ghiaccio e il cielo mi accolse squallido – e c’era una merda di cane congelata, rigida sul marciapiede subito davanti all’uscita – ma ero contento, avevo fame e respiravo con gioia l’aria anche se era tanto fredda da farmi tossire. Notai un tizio che cercava di parcheggiare la sua grossa automobile il più vicino possibile al marciapiede, ma i mucchi di neve lo ostacolavano al punto che finì per prendere in pieno un cassonetto, sfondandone un lato. Il tizio scese dalla macchina, spostò il cassonetto di qualche metro, sistemò per bene il parcheggio e se ne andò tutto tranquillo.

Al 3: http://versomezzanotte.blogspot.it/2012/04/racconto-freddo-3.html

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