All'1: http://versomezzanotte.blogspot.it/2012/04/racconto-freddo-1.html
Al 2: http://versomezzanotte.blogspot.it/2012/04/racconto-freddo-2.html
Il selciato era completamente coperto di ghiaccio compatto e scivoloso, e le stampelle costringevano Gheorghe ad arrancare con fatica dietro agli altri membri della sua orchestrina di mutilati. Per strada non c’era quasi nessuno, camminavano in fretta nel quartiere latino per raggiungere un posto dove fosse possibile mangiare a poco prezzo. C’erano circa dieci gradi sotto zero, da parecchi giorni. A un tratto lo sguardo di Gheorghe cadde su un volto noto: era un cocainomane che conoscevano di vista, un tipo ciarliero e inoffensivo. Ora era completamente fuori di sé e si stava spogliando, in parte nascosto dietro a un pannello pubblicitario. Si era già tolto le scarpe ed era torso nudo. I rari passanti, solidamente intabarrati, si tenevano alla larga. Gheorghe rabbrividì a vederlo, poi passò avanti; i suoi colleghi sembravano non aver nemmeno notato la scena.
Entrarono in un locale a loro noto, e le loro chiacchiere ricaddero sull’università che era lì vicino. Georghe era il più giovane del gruppo, il più allegro e loquace: Dev’essere un bell’affare l’università, disse agli altri, che nemmeno gli davano retta; Passare giornate intere a leggere stronzate, guardare quadri di donne nude, ascoltare la musica con le mani in tasca: io ci metterei la firma. Teneva questo discorso nel dialetto della sperduta provincia da cui provenivano lui e i suoi colleghi – il locale era frequentato da numerosi studenti, meglio non parlare nella lingua della capitale. Ci metterei la firma, diceva, Da qualche parte ho sentito che li pagano persino, o qualcosa del genere, per studiare, per stare tutto il pomeriggio in uno stanzone a parlare con quaranta femmine accaldate, eh? E dava di gomito ai colleghi, suscitando niente di più che qualche mezzo sorriso. Idea del cazzo uscire con questo freddo, disse uno dei suoi. Erano uomini tristi.
La guerra li aveva portati in città. In certi casi – come per Gheorghe – era stata una mina antiuomo, alcuni altri arrivavano dal fronte. Le mutilazioni trasformavano i contadini in musicisti improvvisati – l’ultima scusa per non diventare mendicanti. I sussidi non valevano nulla, le famiglie erano grandi. Quella specie di mestiere permetteva, in cambio della dignità, di rimediare qualche spicciolo per non togliere il pane ai fratelli, ai padri, ai figli capaci di lavorare. Tra gli immigrati delle campagne avevano iniziato a nascere in modo sempre più spontaneo gruppi di musicisti di strada, minuscole orchestre che riempivano le vie centrali della metropoli di un frastuono di canzoni ripetute, sciancate, stanche. La fisarmonica era lo strumento prediletto; il repertorio si componeva di ballate famose e vecchie marce militari imparate alla svelta. I parenti, anche lontani, offrivano ai nuovi arrivati lezioni e aiuto per trovare alloggi – affittati a basso prezzo a masse inverosimili di poveracci.
Se ne andarono, dopo aver cercato di far durare il più possibile il poco cibo che erano in grado di permettersi, dopo aver cercato di sciogliere un po’ di freddo al calore torpido e fumoso della vecchia stufa del locale. Decisero all’unisono di tornarsene a casa, nel quartiere periferico dove vivevano, popolato perlopiù dai loro conterranei, e si incamminarono in fila indiana, silenziosi, per la stessa via che avevano percorso all’andata. Non si fermarono a suonare nemmeno una volta – la mattinata era stata infruttuosa e il pomeriggio non prometteva di meglio. Maledicevano a denti stretti il freddo che li piegava e che toglieva la gente dalle strade. Gheorghe notò, dove prima aveva visto il cocainomane, una vecchia ambulanza accostata al bordo della strada.
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