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sabato 19 novembre 2011
Dell’insediarsi, nella pubblica opinione e nell’immaginario collettivo, del governo Monti
Il freddo ha qualcosa di demoniaco. È da settimane ormai che l’autunno fa il suo mestiere con metodo e costanza, e ogni giorno e ogni notte il freddo si ripete. Ogni alba oramai vede i prati coperti di brina, e la foschia offusca lo sguardo del sole. La vita si fa gradualmente più sonnolenta, più nascosta, e il letargo si prende tutto. Le oche, stolide nel loro piumaggio che le rende impermeabili al gelo e all’umidore, hanno un unico problema: riempire lo stomaco. L’erba ha smesso di crescere, non esiste più frutta: l’unico cibo è quello che arriva, una volta al giorno, dalle mani di XYZ. I cui vecchi scarponi misurano il prato quotidianamente, lasciando tracce nella brina. C’è ancora qualche lavoretto, di tanto intanto, e pigramente XYZ porta a termine quel poco che rimane. Il freddo ha qualcosa di demoniaco, di deliberatamente ripetitivo, ma correre per il prato o portare carichi pesanti scalda più della stufa e dei cappotti foderati di pelliccia. Per questa ragione XYZ si sente singolarmente pieno di zelo, ben disposto allo sforzo, quando lavora, e dato che c’è anche molto tempo e poco da fare ci si può divertire, dando sfogo libero all’energia inutilizzata. E le stupide oche. XYZ avvista un bel cardo pieno di spine, che ovviamente quelle altre non hanno toccato. Il cardo è appiattito nell’erba fitta, geloso della sua vita rotonda e spinosa, non commestibile, ed è largo ormai una trentina di centimetri. XYZ lo considera. Solleva le foglie da un lato con la punta della scarpa; poi con due calci sinceri lo sradica. “Eccolo qua!” lo raccatta, con la cautela di non pungersi; lo lancia con grazia oltre al recinto delle sceme. Che ci si buttano: quando dall’alta nera figura di XYZ cade un qualsivoglia oggetto più grande di uno sputo, che sia mela marcia o gerla di avanzi e bucce rovesciata sull’erba, di norma è roba che si mangia. Ancora più preziosa, nei giorni in cui le uniche alternative sono le filiformi foglie d’erba ingrigite dalla noia di novembre o la razione quotidiana, scarsa, del solito grano. E così è la grassa, la più vecchia, ad avvicinarsi per prima al cardo divelto, oltraggiato. E ne prende una bella beccata, prima di accorgersi. Le altre si avvicinano, circondando curiose l’inutile coacervo di spine. Immasticabile. La vecchia grassa è fatta fessa e non vuole crederci. Osserva il cardo rovesciato mentre pian piano la sua fiducia svanisce, e tuttavia non vuole crederci. Muginando ancora la foglia che ha già strappato, irta di spine. Le altre restano immobili. Lei continua a esaminarlo.
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